Padiglione Albania alla 19ª Esposizione Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia 

Padiglione Albania alla 19ª Esposizione Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia 

Dal 10 maggio al 23 novembre 2025 dal titolo Building Architecture Culture, a cura di Anneke Abhelakh è aperto il Padiglione Albania – inaugurazione prevista per giovedì 8 maggio alle ore 14:30, presso l’Arsenale (Artiglierie) – Venezia

L’Albania è una democrazia giovane. Con una popolazione di tre milioni di abitanti e ubicata nel cuore del Mediterraneo, la sua geografia ne ha da sempre influenzato gli scambi culturali e l’ambiente costruito.

Dall’Impero Ottomano all’occupazione italiana, dall’isolamento del regime comunista alla successiva fase post-socialista, ogni epoca ha lasciato un segno tangibile nel paesaggio architettonico. Situata tra i mari Adriatico e Ionio e confinante con Grecia, Macedonia del Nord, Kosovo e Montenegro, l’Albania ha assimilato influenze religiose e culturali – islamica, ortodossa, cattolica e laica – che si riflettono nel suo tessuto urbano.

Con il crollo del regime dittatoriale nel 1992 si aprì una netta frattura con il passato: cittadini privi di proprietà privata e di libertà d’espressione si ribellarono agli spazi pubblici e agli edifici di regime. Come ha ricordato Edi Rama, sindaco di Tirana dal 2000 al 2011 e oggi Primo Ministro, «fu un atto di riappropriazione dell’individualità: per dieci anni si è rivendicato lo spazio privato abbandonando quello pubblico. Questo ritorno all’individuo è stato molto traumatico». A trent’anni di distanza, l’Albania è ancora in transizione, sia da un punto di vista culturale, che sociale e architettonico. In questo momento di rinnovamento, l’architettura assume un ruolo centrale.

Il padiglione mostra il passato, il presente e il futuro del panorama architettonico attraverso una struttura composta da tre parti:

Lo sfondo storico del rapporto tra architettura, società e poteri politici viene illustrato in una cronologia di 100 immagini dedicate a due luoghi importanti della capitale Tirana.

  1. Piazza Skanderbeg, cuore di Tirana, ha subito profonde trasformazioni politiche e spaziali, riflettendo i regimi succedutisi in Albania. Durante l’occupazione austro-ungarica (1916–1918), era nota come Kaiser Franz Josef Platz, a simboleggiare l’influenza imperiale. Sotto il dominio italiano (1939–1943) divenne Piazza Vittorio Emanuele III, progettata per esprimere il controllo fascista. Nell’era comunista di Enver Hoxha (1944–1991) fu ribattezzata Piazza Stalin, a rafforzare l’alleanza con l’ex Unione Sovietica, e venne ampliata per accogliere parate militari, con edifici statali monumentali a sottolineare il potere centralizzato.

    Dopo la caduta del comunismo negli anni ’90, tornò a chiamarsi Piazza Skanderbeg, segnando il ritorno all’identità nazionale. Tuttavia, la sua vasta disposizione dominata dal traffico la isolava dalla vita pubblica. Il restyling del 2017 firmato 51N4E ha pedonalizzato l’ampio spazio, utilizzando pietre locali e inserendo zone verdi, simboli di decentramento e partecipazione civica.

    Questa trasformazione ha spostato il ruolo della piazza da simbolo del potere statale a spazio di coinvolgimento pubblico, in linea con le aspirazioni europee dell’Albania


Diego Delso, “Pyramid, Tirana, Albania,” photograph, 2000’s

La Piramide di Tirana, costruita nel 1988 in onore del dittatore Enver Hoxha e progettata da un team guidato dalla figlia Pranvera Hoxha, fu un tempo la struttura più costosa d’Albania, simbolo del regime comunista isolazionista. Dopo il crollo del comunismo, la Piramide perse la sua funzione originaria e visse decenni di incertezza, venendo utilizzata come centro congressi, sede televisiva, base NATO durante la guerra del Kosovo e persino discoteca, diventando parte della cultura giovanile della città.

Negli anni 2010 il Partito Democratico, guidato dal Sali Berisha, propose la demolizione della Piramide per costruire un nuovo complesso parlamentare, definendola un retaggio dell’epoca comunista. L’ipotesi suscitò un’ondata di indignazione, sfociata in una petizione cittadina del 2011 con decine di migliaia di firme per preservare l’edificio. Attivisti, architetti e cittadini consideravano la Piramide parte integrante del tessuto architettonico e storico, un pezzo di memoria del Paese.

Questa petizione modificò l’opinione pubblica e politica, così con il ritorno al potere del Partito Socialista di Edi Rama, si preferì la via di un riutilizzo adattivo. Nel 2017 il governo commissionò allo studio olandese MVRDV la trasformazione della Piramide. Si mantenne la struttura in cemento, ridisegnando gli interni come centro giovanile e tecnologico con scale colorate, spazi aperti e aule modulari. La sommità divenne accessibile al pubblico, offrendo vedute panoramiche sulla città.

Oggi la Piramide simboleggia la transizione dell’Albania – dall’autoritarismo all’apertura, dalla nostalgia alla reinvenzione – riappropriandosi di un monumento controverso come spazio di apprendimento, creatività e futuro generazionale.

Le storie di due luoghi pubblici così cruciali raccontano come l’architettura albanese navighi il proprio passato complesso accogliendo le possibilità del futuro.


Il presente è reso tangibile attraverso un film intitolato The Albanian Calls. Durante il lavoro su The Albanian Files – un libro dedicato all’architettura albanese di prossima pubblicazione – sono state condotte interviste con oltre 50 architette e architetti internazionali attivi nel paese. Queste conversazioni, registrate via Zoom, costituiscono la base di The Albanian Calls, un video saggio realizzato da Anneke Abhelakh e Konstanty Konopiński. Il film investiga il dibattito corrente su cosa significhi essere un architetto internazionale nell’Albania contemporanea, indagandone opportunità e sfide.

L’opera analizza l’agentività del ruolo dell’architetto, il mutato rapporto tra spazio pubblico e privato e l’intersezione tra architettura e politica. The Albanian Calls esamina come l’architettura plasmi un’identità emergente, mentre l’ambiente unico del paese induce una riflessione sullo stato della professione e sul ruolo dell’architetto in un contesto straniero. In coerenza con il tema centrale del padiglione “Building Architecture Culture” il film è montato come una conversazione Zoom senza soluzione di continuità, intrecciando le voci di oltre 30 architette e architetti.

Il dialogo è intercalato da due film d’archivio dell’Archivio Nazionale del Cinema Albanese (AQSHF): Shqipëria Turistike di Mark Topallaj (1974), un’opera propagandistica volta ad attrarre turisti da paesi marxisti-leninisti durante l’isolamento; e Shqipëria 1991 di Xhovlin Hajati e Reiz Çiço (1991), che documenta il paese in quel preciso momento storico.

La parte rivolta al futuro del panorama architettonico è presentata nella terza sezione, e consiste di una serie di visori stereoscopici. Nel 2004, Edi Rama (allora sindaco di Tirana e oggi Primo Ministro) invitò il Berlage Institute a contribuire allo sviluppo della città, su impulso di Elia Zenghelis (cofondatore di OMA), membro della giuria del concorso tenutosi nel 2003 per la redazione di un piano regolatore del centro cittadino. La collaborazione produsse ampie ricerche e numerose proposte per la crescita metropolitana.

Zenghelis (1937-2024) svolse un ruolo fondamentale nel plasmare il discorso architettonico sulla trasformazione di Tirana, rafforzando il coinvolgimento internazionale nell’evoluzione urbana della città. Il suo legame con il Berlage Institute agevolò interventi orientati alla ricerca, che ampliarono le ambizioni architettoniche di Tirana. La sua pratica di insegnamento, caratterizzata da un rigoroso approccio intellettuale, considerava l’architettura sia come atto formale che politico. Radicata nella coscienza storica e nell’urbanismo speculativo, la sua pedagogia sfidava gli studenti a concepire l’architettura come discorso critico anziché come semplice risoluzione di problemi. Bilanciando l’autonomia della forma con la consapevolezza ideologica e geopolitica, il suo metodo risultava insieme preciso e profondamente radicale. Alcuni studi attivi a Tirana si conobbero proprio al Berlage. I visori stereoscopici mostrano l’opera di 56 studi, ciascuno rappresentato da 7 immagini di progetti realizzati in Albania. Un amuse-l’œil per il prossimo volume intitolato The Albanian Files, che sarà pubblicato da Lars Müller nell’autunno 2025.

I 56 espositori sono: 51N4E; Aires Mateus e Associados; Álvaro Siza; Andrea Caputo; Anupama Kundoo Architects; Archea Associati; Archi-Tectonics; arquitectura G; Barozzi Veiga; baukuh; Benedetta Tagliabue – EMBT Architects; BIG; Bofill Taller de Arquitectura; BOLLES+WILSON; Camilo Rebelo; Casanova+Hernandez; CEBRA; Christian Kerez; CHYBIK + KRISTOF; CITYFÖRSTER; Coldefy; Davide Macullo Architects; DILLER SCOFIDIO + RENFRO; EAA Emre Arolat Architecture; Eduardo Souto De Moura; Elemental Architecture; Ensamble Studio; Estudi d’arquitectura Toni Gironès Saderra; GG-loop; Herzog & de Meuron; Kengo Kuma & Associates; KUEHN MALVEZZI; Lina Ghotmeh — Architecture; Luca Dini Design and Architecture; Mario Cucinella Architects; MASS STUDIES; MVRDV; NOA; Nuno Melo Sousa; OFFICE KGDVS ; OMA; OODA; Oppenheim Architecture; RCR Arquitectes; Sam Chermayeff Office; SelgasCano; Shigeru Ban Architects + Jean de Gastines; Stefano Boeri Architetti; Steven Holl Architects; Studio Fuksas; Studio Gang; Studio Precht; Taller Hector Barroso; Toyo Ito & Associates, Architects; XDGA; Yashar Architects.

Un’altra componente fondamentale del padiglione è il Public Program.

Questo programma è coordinato insieme ad Andi Arifaj e Adonel Myzyri e realizzato in collaborazione con KOOZARCH.

Building Architecture Culture, il Padiglione Albania alla Biennale di Venezia, mette in luce la relazione reciproca tra architettura e società. La disciplina si estende oltre la pratica, coinvolgendo il mondo accademico e la sfera pubblica più ampiamente intesa, in cui le idee legate allo spazio pubblico vengono condivise, dibattute e rielaborate. Questa terza sfera idealmente funge da coscienza della professione. Il Padiglione Albania e il suo Public Program agiscono come versione temporanea di questo spazio, esponendo e discutendo l’identità architettonica in evoluzione dell’Albania. Queste conversazioni continueranno oltre la mostra attraverso un podcast, realizzato in collaborazione con KOOZARCH, per permettere anche a chi non potrà essere a Venezia di partecipare alla discussione.

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